Ovvero: la limitazione alla successione patrimoniale come ricetta per la crescita
Premessa numero uno: stiamo parlando di un’utopia o forse per qualcuno addirittura di una distopia.
Premessa numero due: anche vi fosse la volontà politica (cosa che probabilmente mai vi sarà) di realizzare nella pratica quanto sto per esporre, il tutto risulterebbe estremamente complicato.
Tuttavia, al netto della quasi certa irrealizzabilità della proposta non posso esimermi dall’affermare con convinzione che una delle misure più efficaci per raggiungere tutta una serie di obiettivi di grande rilievo, dal contenimento delle crescenti disuguaglianze all’aumento di produttività e innovazione a livello globale, sarebbe quella di mettere un cap alla parte dei patrimoni oggetto di successione, destinando il residuo in eccesso ad un fondo con uno specifico scopo, ad esempio la formazione di eccellenza per gli studenti più brillanti e meritevoli o il supporto finanziario di capitale di rischio a nuove imprese innovative.
Vorrei chiarire subito che non vi è alcuna ideologia post-comunista in questa proposta, anzi se vogliamo la stessa si fonda proprio su alcuni dei concetti tipici del capitalismo, dalla spinta all’imprenditorialità, alla premiazione del merito, anche se certamente tutti concetti ancorati all’etica del capitalismo protestante.
L’idea di fondo è quella che la trasmissione ereditaria dei grandi patrimoni (quantomeno nella loro interezza) ha tutta una serie di effetti distorsivi rispetto all’allocazione delle risorse che sarebbe ottimale per far funzionare la macchina economico sociale (tradotto: effetti contrari al capitalismo) e segnatamente:
- Lo spostamento della creazione di ricchezza dalle attività reali alle attività finanziarie e dal reddito alla rendita
- La fornitura di risorse in termini di formazione e in generale di possibilità ad una parte della società che non è necessariamente la più meritevole perché il criterio di allocazione non è quello meritocratico
- L’ampliamento della forbice della disuguaglianza e il conseguente aumento della probabilità di tensioni sociali e forme di antidemocrazia, quali il populismo ed il sovranismo, perseguite tipicamente da chi si sente “tagliato fuori” dalle possibilità di accedere all’ascensore sociale
- La demotivazione di una fetta di popolazione ad ingegnarsi ed impegnarsi per il perseguimento di risultati economici dal momento che già se ne ritrova più di quelli di cui potrebbero aver bisogno la propria e le successive generazioni
Esponendola in modo grossolano si può dire che la proposta si articoli nel fissare un limite alla trasmissibilità del patrimonio -che ammonti in ogni caso ad una cifra premiante ed in grado soddisfare comunque ad un livello più che apprezzabile i bisogni “primari” delle successive generazioni famigliari (si potrebbe pensare a qualcosa come una decina di milioni di dollari per singolo figlio?)- e conferire obbligatoriamente la parte residua a organismi nazionali o sovranazionali con precisi vincolo di scopo scelti tra le opzioni che più facilitino l’aumento della produttività e del benessere globale.
A coloro che potrebbero obiettare che così facendo si deprimerebbe la fame imprenditoriale a livello generale (data l’impossibilità di accumulare risorse altrimenti teoricamente ad infinitum) vanno fatte notare alcune caratteristiche degli imprenditori che ormai conosco personalmente molto bene, ovvero:
- L’imprenditore è mosso da molti altri obiettivi oltre a quello meramente economico
- L’imprenditore potrebbe comunque godersi illimitatamente tutto quanto acquisito ed accumulato finchè in vita, ottenendo quindi uno stato di benessere per sé teoricamente illimitato e che se speso pre-mortem rimetterebbe in circolo le risorse nell’economia reale
- L’imprenditore saprebbe che arricchendosi andrebbe comunque a garantire un livello di vita più che apprezzabile anche alla discendenza
Chiaro invece che gli escamotage per non aderire a questa impostazione sarebbero tantissimi (dalla ricerca di spazi off-shore che non la applichino all’intestazione alle generazioni successive di una quota parte dei beni accumulati già al momento dell’acquisizione e non quindi al momento della morte).
Tuttavia dopo le evidenze del rapporto di qualche giorno fa dell’OxFam (dal 2020 ad oggi l’1% della popolazione mondiale più abbiente si è accaparrato il 63% dell’incremento di ricchezza, mentre solo il 37% andava al 99% meno abbiente il che è come dire che su 10 nuove pagnotte cucinate per sfamare 10 bambini, più di 6 sono andate ai bambini già grassi e meno di 4 a tutti gli altri, da quelli normopeso a quelli gravemente denutriti) la traiettoria del fenomeno non può non preoccupare in termini di tenuta sociale e crisi delle democrazie e dei modelli capitalistici.
E’ certamente esercizio difficile stimare l’impatto che una simile misura comporterebbe in termini di produttività ed innovazione, ma forse basta immaginare cosa potrebbero significare dei trillioni di dollari che invece di essere detenuti in asset finanziai da famiglie che hanno come scopo principale la perpetuazione degli stessi e la generazione di rendite di posizione andassero a finanziare i percorsi di formazione degli studenti più brillanti o il capitale di rischio a supporto della creazione di imprese innovative o ancora la realizzazione di investimento ad elevato impatto sociale.
A questo punto debbo confessare che l’audacia nel proporre questa visione mi ha costretto fino a qualche tempo fa a pensare di appartenere alla schiera dei pazzi, tipicamente irrisi nella loro esposizione davanti ad una birra con gli amici.
Poi ho letto un’intervista di Bill Gates che ne sosteneva con convinzione gli stessi tratti affermando che una squadra olimpica non si seleziona tra i figli dei vecchi campioni e che il lascito troppo generoso è elemento demotivante per coloro che lo ricevono (da qui la scelta sua e di altri grandi imprenditori di dare in beneficienza la parte preponderante del patrimonio) e mi sono convinto che forse utopista sì, pazzo non ancora.